di Rinaldo Falcioni1
L’Italia campo di battaglia
Il 10 luglio 1943, appoggiati da un’imponente forza aereo-navale, addirittura superiore a quella dispiegata per lo sbarco in Normandia l’anno successivo, gli Alleati misero piede in Sicilia, dando così inizio alla risalita della penisola che si sarebbe conclusa a fine aprile 1945. L’Italia venne duramente contesa e la popolazione civile, le città e le campagne furono messe spietatamente alla prova, schiacciate per quasi due anni da battaglie, bombardamenti, rappresaglie e carneficine di ogni ordine e grado. Qui presenteremo le caratteristiche dei protagonisti principali di questa tragedia, suddivisi secondo gli schieramenti sul campo.
La sera dell’8 settembre 1943, da New York a Roma rimbalzò sulle frequenze radio l’annuncio dell’avvenuto armistizio fra il Regno d’Italia e gli anglo-americani. Il primo ministro, Pietro Badoglio, dopo 45 giorni di incertezze, sotterfugi diplomatici, faccia di bronzo verso l’alleato tedesco e mosse contraddittorie fino all’ultimo momento, dichiarava forfait, abbandonando Roma e il Paese tutto (in primis le forze armate) nella confusione più completa e trasferendosi/fuggendo con il re e parte della corte a Brindisi. L’ambizione malcelata di Badoglio era che, rinviando (almeno fino al 12) la dichiarazione dell’armistizio (firmato dal generale Castellano nei pressi di Siracusa già il 3) sarebbe riuscito a salvare Roma, ad evitare l’onta della «resa incondizionata» e a guadagnare il titolo di alleato degli anglo-americani – mentre tutto ciò che fu concesso in seguito al neonato Regno del Sud fu il titolo di «cobelligerante».
Il capo fallimentare del governo e della guerra fascista, Benito Mussolini, dimissionato ed arrestato il 25 luglio, fu liberato dall’albergo/prigione di Campo Imperatore dai camerati tedeschi il 12 settembre e condotto in Germania, al cospetto di Hitler.
A Monaco ricevette l’incarico di costituire uno stato collaborazionista, la Repubblica sociale italiana, la cui missione era la vendetta contro il re e i «badogliani» traditori dell’asse Roma-Berlino. Lo schema dei venti mesi successivi era quindi delineato: c’erano ormai due Italie, violentemente contrapposte, ciascuna delle quali destinata al ruolo di comprimaria dei due schieramenti che si contendevano passo a passo l’«italico suolo»: l’esercito tedesco e quello anglo-americano.
I bombardieri alleati avevano cominciato a colpire le città italiane fin dall’inizio della campagna di Sicilia. Bologna, snodo centrale delle comunicazioni ferroviare e sede di importanti industrie meccaniche e di depositi di tutti i tipi, fu oggetto di pesanti attacchi dall’aria: il primo, devastante raid è del 24 luglio, quando cinquantuno «Fortezze Volanti» B-17 provenienti dal Nord-Africa sganciarono 150 tonnellate di esplosivo sulla città felsinea.
Bologna divenne l’oggetto finale della contesa: «a Bologna prima di Natale!» fu l’auspicio, o slogan propagandistico, dell’offensiva alleata nell’estate del 1944 – un obiettivo non realizzato entro quel termine temporale, cosa che permise al comandante tedesco, Albert Kesselring, di vantare i pregi della propria strategia nella «battaglia difensiva» sulla Linea Gotica della seconda metà del 1944.
Nella prima metà dello stesso anno, l’obiettivo era stata Roma. Anche in questo caso la Wehrmacht oppose una resistenza accanita: «Tutte le strade portano a Roma», ricordavano i giornalini divisionali della V Armata Usa - «ma tutte le strade sono minate!» aggiungeva sconsolato il fante americano nell’inferno della Linea Gustav, a Cassino e dintorni. Gli scontri all’ombra dell’antico monastero benedettino (poi raso al suolo dai bombardieri americani per il sospetto che ospitasse osservatori d’artiglieria tedeschi, data la sua posizione a picco sulla Valle del Liri e la statale n° 6 «Casilina») furono terrificanti e durarono mesi, da gennaio allo sblocco di maggio - sblocco che consentì al comandante della V Armata, Mark Wayne Clark, di entrare trionfalmente a Roma, primo soldato dopo il bizantino Belisario (nel secolo VI, e si trattava anche allora di una guerra «gotica») a prendere la città da sud. Si è molto scritto su questa fretta di Clark, adombrando le ragioni militari con quelle di scena. Fin dalla Sicilia, infatti, era evidente la rivalità fra generali alleati per guadagnare il titolo di liberatore di città. La rivalità fra due «prime donne», Patton contro Montgmomery, palesata di fronte a Palermo e a Messina (in entrambi i casi il trofeo andò a Patton, «generale d’acciaio») fu seguita da quella fra Clark e il britannico Oliver Leese, succeduto a Montgomery al comando dell’VIII armata, sull’obiettivo più ambito, e cioè la conquista della «città eterna». Si dice che se Clark avesse avuto meno fretta di farsi fotografare sui Fori imperiali forse sarebbe riuscito a tagliare la strada alla 10a Armee tedesca del generale Vietinghoff in ritirata, attorno a Valmontone: un caso classico di would have been history.
Due giorni dopo la liberazione di Roma avvenne lo sbarco in Normandia. All’epoca, due terzi delle forze tedesche erano schierate contro l’Urss (160 divisioni circa), una sessantina in Francia e una ventina (parecchie a ranghi ridotti) in Italia. Secondo lo storico inglese Basil Liddell Hart, «l’impegno italiano sottrasse allo sforzo bellico globale degli alleati una quantità di risorse di gran lunga maggiore di quella che i tedeschi impiegarono per resistere in Italia». E per lo storico americano David Kennedy, la campagna d’Italia «fu uno spettacolo secondario inutilmente dispendioso…una guerra d’attrito i cui costi non erano giustificati da nessuno scopo difendibile, sul piano militare o politico». Naturalmente, il dibattito sul pro e il contro della scelta alleata di aprire un fronte europeo di alleggerimento di quello a est sbarcando in Sicilia è cospicuo. Atkinson ricorda che «di solito le critiche si scontrano con una domanda fastidiosa: Dove se non in Italia?» .
Dunque, dopo la conquista di Roma, il fronte italiano divenne effettivamente secondario rispetto alla Normandia. Fu depotenziato, al punto che a metà agosto numerose divisioni vennero trasferite in Provenza come valvola di sfogo per la pressione tedesca a nord della Francia. Anche per questa scelta, che rispecchiava un dissidio di fondo in seno ai comandi alleati, fra Roosevelt e Churchill, sui rapporti con l’Urss e sulla sistemazione geopolitica finale dell’Europa liberata dal nazifascismo, le due armate alleate si ritrovarono allo slancio appenninico di fine agosto con forze insufficienti allo scopo strategico – giungere sulla via Emilia e arrivare a Bologna. «E venne un altro triste inverno, un altro sciagurato stallo, durante il quale la campagna militare, scrive la storia ufficiale dell’esercito statunitense, “si ridusse a una vasta operazione di contenimento”. Le armate del maresciallo Harold Alexander [il 15° Gruppo di Armate, composto dalla V Usa e dall’VIII Britanica] divennero sempre più poliglotte, con l’aggiunta di brasiliani, belgi, ciprioti ed ebrei della Palestina, oltre che di due nuove unità statunitensi, una composta da neri e l’altra da giapponesi di seconda generazione naturalizzati. I tedeschi erano ormai ridotti a trainare i camion con i buoi; ogni soldato di pattuglia che riportasse una tanica di carburante veniva premiato con mille sigarette. Eppure la linea Gotica non crollò fino ad aprile del 1945 e la capitolazione avvenne venti mesi dopo lo sbarco alleato a Reggio Calabria.
Seconda parte: L'intreccio s'infittisce
Terza Parte: Il melting pot della linea gotica
Il testo di Rinaldo Falcioni è suddiviso in tre parti; costituisce la postfazione al libro di Silvano Monti, “I ragazzi della Linea Gotica”, Pendragon, Bologna 2019.
Rinaldo Falcioni è nato a Bologna nel 1954. E’ direttore scientifico dell’Università Primo Levi di Bologna. Per la casa editrive Pendragon ha di recente pubblicato “Il Cobra sta fumando” e “L’Avventura del Calderaro”.
La CICALA di Orno è la vetrina privilegiata delle iniziative dell’Associazione ORNO TEATRO, con i frequenti rimandi al sito dell’Associazione e al proprio canale YouTube, dove sarà possibile seguire, vivere e condividere gli eventi che abbiamo organizzato: