di Tiziano Barbieri1
Nella primavera del 1971 gli Stones si trasferiscono nel sud della Francia.
Stanchi di versare tasse onerosissime alla Regina, così come delle visite inopportune della polizia, inopportune soprattutto per Keith Richards, quest’ultimo affitta una villa sulla Costa Azzurra, a Nellcòte; Mick si sistema a Saint Tropez (affitterà più tardi una villa di proprietà di uno zio del Principe Ranieri), Charlie Watts si rifugia in Valchiusa e Bill Wyman a Grasse, dove comincia a frequentare Marc Chagall.
Vogliono registrare il nuovo album e, dopo qualche sopralluogo negli studi del posto, Cannes e dintorni, decidono di procedere con il loro studio mobile (un grosso camion, in pratica), il Mighty Mobile, quasi unico del suo genere e primo studio mobile acquistato da una band.
Sistemato il Mighty Mobile davanti all’ingresso di Nellcòte e “attaccato alla corrente”, come riporta Keith, stendono i cavi di segnale audio fino a raggiungere l’enorme seminterrato.
Cercano effetti di ambiente, riverberi del suono, naturali.
Non vogliono utilizzare, per quanto possibile, eco elettronici, già presenti sul mercato, anche se assai recenti.
La generazione precedente di effetti eco usava il nastro magnetico, poi arrivò la rivoluzione con il famoso Eco Binson.
Ne avevamo acquistato uno anche noi, ragazzetti di Bologna, alla fine degli anni ’60. Comprato usato, ma costava comunque un “botto”.
Il Mighty Mobile, oltre alla consolle (mixer audio) è allestito anche con un registratore a otto piste.
Per i non addetti spiego in due parole.
Si registrava su nastro magnetico. Il suono arrivava alla consolle audio, da qui veniva riversato al registratore, dotato di una serie di testine magnetiche (otto, nel caso di cui parliamo) che “tracciavano il suono sul nastro”.
Una traccia, una pista. Otto in tutto, ripeto, per gli Stones del tempo.
Alla fine della vita dei registratori analogici, il nastro magnetico sarà alto due pollici (sei, otto cm.) ed il registratore potrà sostenere 24 piste, o tracce.
All’inizio degli anni ’90 arriverà il digitale, i programmi di registrazione, ed il numero di “piste” diventerà, con il tempo, praticamente infinito.
Ma non nel 1971.
I ragazzi stendono i cavi audio fino al seminterrato, dicevamo.
A lavorare sono Jimmy Miller, il produttore, Andy Johns, tecnico del suono, Bobby Keys e Jim Price ai sax, Gram Parsons e poi Mick, Keith, Bill, Charlie e Mick Taylor, proveniente dalla blues band di John Mayall a sostituire Brian Jones, non più fra i vivi. I ragazzi si sparpagliano nelle cantine, ognuno a cercare il punto che rende meglio il suono del proprio strumento.
Per ritrovare i due sax si dipingono di giallo i cavi microfonici: se segui i cavi li trovi. Charlie si ritrova un angolo buono a quasi quattrocento metri dalla regia, ma abbandona l’idea, stanco di dover percorrere quasi un chilometro ogni volta che deve scambiare qualche idea sul brano che stanno registrando.
Iniziano a lavorare nel tardo pomeriggio e arrivano fino a mattina.
Dopodiché, chi ne ha voglia, può salire con Keith sul motoscafo Riva appena acquistato per andare a fare colazione in Italia, poche miglia più a est di quello splendido Mediterraneo.
Mi capita di pensare qualche volta a questi tre, o quattro inglesi, vestiti come si può immaginare, “fatti” come è invece difficile immaginare, con i volti di chi ha passato la notte a fare quel che stavano facendo, senza passaporti o patenti nautiche, che approdano al molo di Mentone (ancora Francia) o Ventimiglia, attraccano come possono e salgono a terra per sedersi al tavolino di un bar italiano.
Li vedo con gli occhi della memoria: nel 1971 io ho vent’anni, vesto come loro, anche se non così stravolto, ho appena fatto il mio primo viaggio a New York, non per diletto ma per suonare con due cantanti italiani davanti al pubblico di Broccolino, come pronunciava l’autista che ci portava in giro su di una enorme auto americana.
Una meraviglia quegli anni, grazie anche agli Stones.
Registreranno un doppio album, a Nellcòte: il titolo è “Exile On Main Street”.
Segue quel capolavoro incredibile intitolato “Sticky Fingers”, a mio modesto parere uno dei lavori musicali migliori del XX secolo, forse dell’intera storia della musica.
I brani partono da una semplice idea, un’intuizione, un suono, un riff di Keith o una frase di Mick. Charlie è considerato la “prova del nove”: se il pezzo funziona Charlie suona come un dio, se cazzeggia Keith si preoccupa e cerca altre idee.
Non si fanno prove prima di registrare, non si scrive praticamente niente: si attacca il registratore e si vede se viene fuori qualcosa.
Gli Stones non sono gli unici: negli stessi anni Miles Davis raggruppa dodici musicisti, fra i quali Chick Korea, Joe Zawinul, John Mc Laughlin, Wayne Shorter, Dave Holland, Jack Dejohnette, Lenny White, Bennie Maupin (non li ricordo tutti, il disco se lo è preso un mio amico di allora, mai più restituito e mai ricomprato, peccato) e procede esattamente nello stesso modo.
Daranno vita a “Bitches Brew” e il jazz girerà l’angolo.
Del resto, i quegli anni girare l’angolo era il minimo che si potesse fare.
Buon ascolto di “Exile On Main Street”.
“LIFE“ di Keith Richards ( 2010 )
Tiziano Barbieri, laureato con lode presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna; musicista professionista, ha suonato, tra gli altri, con Lucio Dalla, Francesco Guccini, Ornella Vanoni e Paolo Conte. Come solista ha pubblicato tre album per l’etichetta Virgin. Sul versante dell’organizzazione, ha diretto la produzione di Vinicio Capossela, Caetano Veloso, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia.
In attesa delle aperture ….