di Marco Coppi1
“Spesso la musica mi prende come un mare” inizia così “La musique”, una bella poesia di Charles Baudelaire.
Da bambino, avrò avuto quattro o cinque anni, su una terrazza d’estate venivo forse colto da un’emozione del genere, ascoltando mio padre alla chitarra e mia madre al canto.
Un “incanto” appunto che credo sia la ragione primaria del mio rapporto con la musica, quello stupore e quell’attrazione verso ciò che raccontano i suoni nella loro astrazione linguistica e nella precisa e potente capacità di sollecitare emozioni.
Un mare, quello musicale, in cui mille fiumi riversano ogni genere di linguaggi, di culture, di sintassi sonore antiche, moderne o contemporanee che dir si voglia.
Ora però, detto questo, trovo che ci sia un problema da rilevare: non c’è rispetto per la musica, sì, non c’è rispetto.
So che potrà sembrare strano, o esagerato, o estremista ma la musica andrebbe eliminata dal contesto economico, andrebbe liberata da tutto quello che regola i rapporti di produzione e di fruizione dei beni materiali e immateriali, insomma dal sistema.
So che una cosa del genere non è possibile, non si può rifondare radicalmente l’esistenza di una parte del sistema senza che anche tutto il resto muti, ma voglio qui dire che troppe e troppo diverse dal “vero” sono le ragioni per cui oggi tanta musica è prodotta e diffusa.
Non si tratta di purismo ne di moralismo naturalmente, si tratta forse di rapporto etico con la musica, certamente si tratta di una richiesta di attenzione su quale è il portato e il significato della creazione musicale.
A tutti i livelli, dalla musica così detta di nicchia a quella superpopolare e/o supercommerciale, nella stragrande maggioranza dei casi ciò che determina la sua produzione e sopratutto la sua diffusione è fissato da regole di mercato che non tengono minimamente conto della qualità (nel senso di specifica proprietà) della sua natura, della sua sostanza, tutti (quasi tutti) sono mossi soltanto dalla certa o probabile o presunta vendibilità del prodotto e non parlo, o non solo, del mercato discografico che ormai è (quasi) totalmente defunto, parlo dei concerti, della musica dal vivo.
Anche chi si occupa di musiche che hanno un seguito molto limitato deve inevitabilmente fare i conti con la vendibilità della cosa. E’ normale certo, è così per tutto, ma in questo modo si ingabbia l’arte musicale dentro logiche ingessate e tossiche che fanno male proprio a lei, alla musica e, naturalmente, a chi la ama.
Non si è mai veramente liberi di scegliere, per esempio come programmatori di cartelloni musicali o anche come interpreti ciò che viene ritenuto il meglio, o la cosa più significativa al momento, bisogna sempre mediarla con il gusto del pubblico che spesso non è altro che il frutto di pigre e cattive abitudini, di atteggiamenti conservatori indotti dal mercato o dalla cultura dominante sua stretta parente.
Si vende meglio il già noto o la cosa di moda, fosse anche vestita di abiti di gusto sperimentale e avanguardistico, l’importante è che sia inserita in qualche flusso di mercato piccolo o grande e di conseguenza etichettata, incasellata!
Così però non si cresce mai, non si promuove vera conoscenza dei linguaggi musicali, che poi in ultima analisi, significa maggiori opportunità di poterne godere nelle libere infinite forme e sfumature.
Non c’è libertà come fruitori ne come produttori di musica.
Bisognerebbe inventarsi, per rispetto della musica, un festival delle musiche che abbandoni, paradossalmente, ogni criterio di vendibilità, non di gradimento di pubblico (c’è differenza) lasciando questo al suo naturale e spontaneo manifestarsi senza essere stato previsto o guidato.
Meglio ancora bisognerebbe inventarsi una “casa delle musiche” dove l’unico criterio di programmazione sia quello di dare spazio alla più ampia gamma di esperienze sonore possibili.
Unica guida in tutto questo dovrebbe essere la responsabilità dei programmatori che a rotazione se la assumerebbero unicamente condotti dalla propria sensibilità, competenza e sincera curiosità per il mondo della creatività musicale.
Difficile vero?
Tutto deve fare economia naturalmente, a partire dai costi delle strutture e dei musicisti, ma siamo sicuri che se proprio non è possibile fare uscire la musica dalle logiche economiche e di mercato non sia possibile inventarne delle nuove?
O meglio, di alternative?
Siamo sicuri che con meno pigrizia e più coraggio non si possa scoprire che tutti questi abituali processi, per la verità piuttosto logori, stantii e conservatori, non possano essere rivoluzionati portando nuova linfa al mondo della musica e alla sua cultura?
Pensiamoci. Dico così, per amore della musica, e per il rispetto che gli si deve.
Marco Coppi è diplomato in flauto presso il Conservatorio GB Martini di Bologna. Direttore artistico delle manifestazioni internazionali di musica “Paradiso Jazz” e “Porretta Prog Festival”.
La CICALA di Orno è la vetrina privilegiata delle iniziative dell’Associazione ORNO TEATRO, con i frequenti rimandi al sito dell’Associazione e al proprio canale YouTube, dove sarà possibile seguire, vivere e condividere gli eventi che organizziamo.