6 Dicembre 1969, Autodromo di Altamont (San Francisco, California).
I Rolling Stones decidono di consacrare il loro proficuo tour americano concedendo un concerto gratuito all’aperto.
Dopo una serie infinita di problemi viene loro concesso di esibirsi all’interno dell’autodromo californiano. Nei piani organizzativi doveva trattarsi di una specie di Woodstock dell’Ovest (il famoso festival aveva avuto luogo soltanto tre mesi prima e con grande successo) ed invece si rivelerà una catastrofe.
Ma al di là della tragedia che si consuma in esso solo a posteriori ci si renderà conto di che cosa aveva realmente significato quella giornata negativa: proprio lì, ad Altamont, insieme a Meredith Hunter erano definitivamente morti tutti gli ideali, i sogni e le speranze del decennio più celebrato della musica moderna.
di Max Mingardi1
Dall’altra parte dell’Atlantico dopo il fallimento della politica estera sull’affare Cuba, l’incubo di una guerra nucleare, l’assassinio del presidente J.F. Kennedy a Dallas, la preoccupante escalation bellica in Vietnam e i primi interessamenti degli uffici federali ai nascenti gruppi pacifisti, il percorso sonoro pare stia segnando il passo.
Se si escludono le prime geniali follie di Frank Zappa o il Dylan cantautore orientato verso la svolta elettrica delle sue folk songs, il panorama musicale americano tanto vibrante fino a qualche anno prima non offre al momento valide contrapposizioni al pop anglosassone.
Ma si sa che spesso sotto la cenere cova il fuoco: le prime avvisaglie che in giro c’è qualcosa di grosso si registrano in California.
San Francisco sta infatti per vivere la sua primavera più bella: i grandi poeti beatnik (Kerouac, Ferlinghetti, Ginsberg e tutti gli altri) dalle loro roccaforti di North Beach stanno ispirando tutta una serie di giovani menti in cerca di nuove sensazioni.
Si scoprono altri modi di fare musica, cercando negli strumenti i partner ideali per i testi forti e duri: la politica entra di prepotenza nella musica, si scopre l’acido lisergico (LSD) e nascono le prime comuni. Il quartiere di Haight-Ashbury a San Francisco diventa di lì a poco il nuovo centro del mondo.
Figli dei fiori veri e falsi, menti libere e aperte, suoni, colori ed una musica che si trasforma da pseudo beat a psichedelica. Lunghe improvvisazioni e testi graffianti, band in acido come i Grateful Dead e i Quicksilver Messenger Service o estremamente politicizzate come i Jefferson Airplane.
Tutto si snoda intorno all’aria festosa del biennio 1966/67, ma quando a Monterey nell’Agosto del 67 si svolge il primo grande festival all’aperto lo spirito hippy ha già sentenziato la propria morte. E questo con tanto di funerale ufficiale autocelebrato degli hippy stessi per le strade di Haight Ashbury.
Il tanto odiato “sistema americano”, seppur lentamente, era riuscito ad imbrigliare tutta quella controcultura nata tra North Beach e l’Università di Berkeley poi allargata a perdita d’occhio su tutto il continente.
Da lì in avanti il grande sogno californiano raggiunge sì il mondo intero, senza però dare mai l’esatta dimensione della realtà che San Francisco sta vivendo: musicalmente le band storiche di quell’area stanno pensando ad un cambiamento che puntualmente avviene sul finire del decennio con la svolta dal rock lisergico al più tradizionale space country e questo quasi come forma di solidarietà con la memoria del vero spirito libero sanfranciscano ormai definitivamente morto e sepolto.
L’evoluzione del concetto di musica come forma di cultura ed impegno e non più meramente canzonettistica rimbalza anche altrove.
A New York ad esempio, dove i Velvet Underground di Lou Reed sono già un passo avanti. Agli antipodi rispetto a Woodstock e alla filosofia dei figli dei fiori rimangono legati all’artista Andy Warhol e portano in sé i germi della decadenza dei due decenni successivi.
La musica nera americana vive in simbiosi con l’aumento dell’ondata di rivolte razziali (dai disordini di Watts a Los Angeles all’assassinio del pastore Martin Luther King) pur restando vincolata alle proprie radici soul blues: prende corpo alla grande il funky mentre Rufus Thomas e James Brown trascinano le loro anche senza sosta in un fermento che non concede pause di riflessione. E nel frattempo un altro musicista di colore raggiunge l’apogeo della gloria assurgendo a personaggio chiave di questo decennio: Jimi Hendrix. Lui, scoperto per caso da un inglese, portato in Inghilterra per sfondare, con la sua Stratocaster e le sue mirabolanti canzoni, ogni estremo, riportato (proprio in quel di Monterey) nella sua patria come un profeta e destinato a consumare là quel po’ che gli resta da vivere: con gloria e passione ma anche in bilico continuo fra inferni e paradisi fino alla morte nel 1970 a Londra.
Quando si arriva al 1969 lo scalpore sonico propagato da Hendrix ha già dato ampi frutti. Si comincia timidamente a parlare di rock e non più di pop con la musica che tende a dividersi fra l’impegno politico e le sane vibrazioni.
In Inghilterra il blues revival costituisce l’ossatura per i futuri innalzamenti di volume dell’hard rock (Led Zeppelin, Black Sabbath etc) mentre i più spavaldi cercano a tutti i costi di fare un ennesimo nuovo modo di musica, più tecnicamente sofisticata ed impegnata: saranno le basi per quel che verrà chiamato agli albori del nuovo decennio il pop progressivo.
Nello stesso anno gli Stati Uniti devono far fronte ad una vera ondata di eventi destinati a lasciare il segno per moltissimo tempo.
In primis l’acutizzarsi delle proteste pacifiste a seguito della controffensiva vietnamita che tante vittime sta costando ai giovani soldati americani. Poi la strage di Bel Air ordita dal ‘santone’ Charles Manson che inorridisce il mondo per via del macabro scenario sviluppato da essa: per la prima volta gli americani si trovano ad aver paura di qualcosa che è annidato dentro la propria società e non fuori di essa.
Ancora in quell’estate la prima passeggiata di Armstrong e Aldrin sul suolo lunare ed il festival di Woodstock. Con questo evento, che richiama oltre cinquecentomila persone insieme per tre giorni di musica e fratellanza, si scopre come sia possibile che tutto ciò possa accadere senza generare per forza un benchè minimo problema di ordine pubblico.
Woodstock si rivelerà il canto del cigno di questo decennio musicale, con un festival pieno di grandi artisti e grande pubblico in una unica vera simbiosi in pieno stile ‘libera musica per corpo e mente’. E questo anche a discapito dei numerosi problemi organizzativi.
Gli anni sessanta non sono ancora finti e vivono un’appendice che tutto è tranne che la degna chiusura di questo decennio indimenticabile.
Ad Altamont (San Francisco) il 6 Dicembre 1969 gli organizzatori di Woodstock tentano di ripetere l’exploit di qualche mese prima in accordo con i Rolling Stones ed altre band quali Jefferson Airplane e Flying Burrito Brothers.
Su consiglio dei Grateful Dead vengono ingaggiati come servizio d’ordine non ufficiale gli Hells Angels, famigerata banda di motociclisti con ramificazioni in molte parti di Usa ed Europa.
La scelta si rivela un disastro: gli Angels per lo più ubriachi picchiano ed il pubblico reagisce, il palco è sommerso di gente, Marty Balin dei Jefferson Airplane viene percosso nel tentativo di difendere un ragazzo del pubblico, i Rolling Stones devono più volte interrompere lo show per tafferugli intorno a loro.
E proprio durante una di queste colluttazioni davanti al palco uno spettatore di colore, Meredith Hunter, viene accoltellato alla gola da un Hells Angel. Morirà poco dopo.
Al di là del disastro e della tragedia, Altamont più di Woodstock diventerà l’inglorioso finale degli anni sessanta: l’utopia delle ‘good vibrations’ e del Peace, Love & Music raggiunta e messa in atto da oltre mezzo milione di persone a Woodstock nell’agosto del 69 era durata di fatto soltanto pochissimi mesi: giusto il tempo per chiudere l’epopea decennale del pacifico sogno colorato ed incominciare ‘nel migliore dei modi’ quegli anni settanta carichi di crisi e contraddizioni.
‘E’ il 1969 in tutti gli Stati Uniti.
È un altro anno per te e per me, un altro anno senza niente da fare’
‘1969’ The Stooges
Nato a Bologna nel 1957, libero professionista, leader della “Rolling Stones Tribute Band” Dead Flowers. Ha scritto per diverse riviste musicali italiane.
La CICALA di Orno è la vetrina privilegiata delle iniziative dell’Associazione ORNO TEATRO, con i frequenti rimandi al sito dell’Associazione e al proprio canale YouTube, dove sarà possibile seguire, vivere e condividere gli eventi che abbiamo organizzato: