6 Dicembre 1969, Autodromo di Altamont (San Francisco, California).
I Rolling Stones decidono di consacrare il loro proficuo tour americano concedendo un concerto gratuito all’aperto.Dopo una serie infinita di problemi viene loro concesso di esibirsi all’interno dell’autodromo californiano. Nei piani organizzativi doveva trattarsi di una specie di Woodstock dell’Ovest (il famoso festival aveva avuto luogo soltanto tre mesi prima e con grande successo) ed invece si rivelerà una catastrofe.
Ma al di là della tragedia che si consuma in esso solo a posteriori ci si renderà conto di che cosa aveva realmente significato quella giornata negativa: proprio lì, ad Altamont, insieme a Meredith Hunter erano definitivamente morti tutti gli ideali, i sogni e le speranze del decennio più celebrato della musica moderna.
di Max Mingardi1
Le diversità e le contraddizioni fra Stati Uniti e la vecchia Europa sono ancora oggi frutto di esami e dibattiti, ma molto di più lo sono state proprio sul finire degli anni cinquanta.
Gli Usa avevano fatto i conti con problemi interni e guerre lontane, come l’intervento nella seconda guerra mondiale, in Corea e le prime avvisaglie di un intervento futuro (e poi puntualmente operato) in Indocina.
L’Europa era invece ancora ferita dalle macerie di una guerra mondiale ma anche dalla voglia di dimenticare ricostruendosi un avvenire tranquillo.
Non è quindi un caso che siano proprio i figli dello Zio Sam i primi ad avvicendare la popolarità interna delle musiche nere (blues, soul, rythm & blues, jazz) e di alcuni bianchi ‘innamorati’ (Frank Sinatra, Perry Como, Paul Anka) con un genere che riesce a far scuotere il fisico prima ancora del cervello catalizzando entrambe le razze in un solo colpo.
Quel fenomeno chiamato “rock’n roll” mette in fiamme i teenagers americani bianchi e in parte neri, quanto è vero che Buddy Holly ed Elvis Presley scatenano gli entusiasmi tanto quanto Little Richard o Chuck Berry.
Anche il country e le ballad della tradizione devono a questo punto cedere il passo all’irruenza del nuovo che infiamma, e non solo. La California, stato ‘adolescente’ per eccellenza, arriva a scaldare la sabbia delle spiagge con il surf, una sorta di rock’n roll pulito e orecchiabile (con band come i Beach Boys, o i Ventures) ideale per le feste improvvisate dai ragazzi intorno ai falò sul mare.
La coscienza politica americana degli anni cinquanta aveva quasi imposto un ‘sonno creativo’ musicale ai propri artisti, logico quindi che l’esplosione del rock’n roll sembri come una bomba gettata in mezzo ad un gregge di pecore.
Nel medesimo periodo l’Europa ha invece ancora la testa altrove, e la musica non è un bene di consumo ma di lusso: i primi a cambiare qualcosa sono, ancora una volta, gli anglosassoni.
Nei pub inglesi si ascolta blues o nelle forme più audaci lo skiffle oltre ai caserecci motivi folk tradizionali, mentre alla BBC si programmano ancora vecchie canzoni postguerra.
I Beatles non hanno velleità provocatorie o sovversive nei confronti dello statico mondo delle sette note: arrivano, suonano le loro canzoni e se ne vanno, punto e basta. Ma funziona, e alla grande.
I Rolling Stones si spingono oltre, con una scena per quei tempi oltraggiosa, e le fondamenta dell’austero ‘music establishment’ britannico cominciano a tremare in maniera percettibile.
È il 1964, e ormai il dado è tratto: il blues e gli echi del rock’n roll statunitense vanno a rinforzare il novello beat britannico e tutta l’Europa si scopre trascinata dalle nuove matricole del pop futuro.
Nonostante appaia evidente come il movimento musicale dal 1960 al 1964 abbia già compiuto passi da gigante, altre esplosioni sonore ben più deflagranti sono destinate di lì a poco ad arrivare, anche se solo in pochissimi riescono a prevederne l’imminenza.
C’è da puntualizzare però un fatto piuttosto importante: solo dopo la metà degli anni cinquanta era venuto alla luce il significato della parola adolescenza.
Non che i giovani fino al 1955 non fossero mai esistiti, ma soltanto non avevano spazi propri dove poter scatenare i loro pochissimi entusiasmi.
La pop generation iniziò lentamente a formarsi proprio in quegli anni, anche se di pop vero e proprio non si trattava. I locali dove ritrovarsi erano pochi e nei quali non si poteva ne ballare ne comunque scuotersi in alcun modo. Vigeva in proposito una assurda legge del 1909 che regolava, limitandole quasi allo zero assoluto, quelle forme di libertà personale che molti sognavano di mettere in pratica. Il divieto poi in quasi tutte le dance hall del ballo ai minori di 18 anni restringeva ulteriormente quel piccolo mondo che già faceva fatica ad espandersi.
A questo punto viene spontaneo pensare all’enorme entità di quel muro che era stato, per così dire, attaccato. Il perbenismo della classe media americana aveva vissuto senza scossoni per un decennio forte come detto del ‘sonno’ imposto ai propri giovani figli, ma all’indomani dell’esplosione del rock ‘n roll, della surf music e della brillantina tutti si devono confrontare con quella, per quei tempi, scomoda realtà.
Il parallelo con l’Europa regge soltanto a tratti, ma è evidente che sono gli Stati Uniti a fare sempre da apripista alle mode ed alle novità sonore. Anche il vecchio continente stenta ad accettare i suoni sporchi, pulsanti e ribelli del nuovo beat, ma se in un primo momento ne esce scandalizzato poi ben presto accetta di tollerarlo anche se con uno stato di costante diffidenza. La stessa BBC inglese, radio ufficiale per generazioni dei figli d’Albione, non scenderà a compromessi se non dopo la metà degli anni sessanta, quando cioè si arrenderà all’evidenza della forza incredibile (anche se volontariamente sottovalutata) del nuovo che avanza.
E anche l’Italia, la piccola Italia delle grandi canzoni d’amore e dei lussuosi giradischi, non riesce ad abituarsi a tutto questo scuotimento pelvico, tanto è vero che soltanto dopo il 1966 si assiste all’emersione ufficiale del beat italiano con relativa apertura dei media (leggi Radio, secondo programma) e trasmissioni (molto poche del resto) ad esso legate.
1965 dunque, anno di svolte e consolidamenti, come nel caso del grande fenomeno Beatles-Rolling Stones che si porta dietro nuovi accoliti in tutto il globo.
Anche l’America li accetta osannandoli con isterie annesse e un oceano di ragazzine in subbuglio, consacrando il mito prima ancora che esso si dimostri tale.
E dietro al loro dualismo i Kinks dei fratelli Davies, gli Animals, fino agli Yardbirds ed ai più progressisti Who. Un piccolo esercito di britannici dunque sta avanzando nel cuore europeo attaccandosi alle gloriose radici del blues inglese e inventando un futuro musicale che in paio d’anni si chiamerà più semplicemente pop music. E Londra assiste alla fluida e costante invasione di mode coloratissime, delle spregiudicate e scandalose minigonne, delle battaglie a suon di bastoni e catene fra i rockers col giubbotto di pelle e moto BSA contro i ‘modernisti’ nazionalisti mods in Lambretta.
Anche se il nuovo movimento prende corpo in Gran Bretagna tutta l’Europa occidentale non tarda certo ad identificarsi con la forza di questo giovane ‘modus vivendi’.
La musica poi ne è il testimonial migliore: canzoni indovinate da cantare in ogni momento e senza tanti pensieri.
(.. segue..)
Nato a Bologna nel 1957, libero professionista, leader della “Rolling Stones Tribute Band” Dead Flowers. Ha scritto per diverse riviste musicali italiane.
La CICALA di Orno è la vetrina privilegiata delle iniziative dell’Associazione ORNO TEATRO, con i frequenti rimandi al sito dell’Associazione e al proprio canale YouTube, dove sarà possibile seguire, vivere e condividere gli eventi che abbiamo organizzato: